IL DELITTO DI ANCONA
Come fa male sentire il nome della propria città associato ad un delitto efferato e pazzesco, che lascia sgomenti ed increduli…
Come fa male a noi persone di scuola, sapere che i protagonisti sono due studenti, due dei nostri potenziali alunni, due di quelli che vediamo ogni giorno seduti sui nostri banchi, due nuovi Erika e Omar, quando avevamo sperato di non leggere più notizie simili.
Ci fa tanto male come genitori, come docenti, come comunità cittadina dover registrare che anche qui, nella quiete della nostra provincia, qualcosa si è rotto e si è rotto là dove è più pericoloso, nelle vite di due persone che il futuro dovrebbero tenerlo in mano, custodirlo e curarlo piuttosto che distruggerlo a se stessi e ad altri.
Nessuno di noi può giudicare, nessuno può sentenziare.
E’ corretto solo interrogarsi umilmente, nel silenzio delle nostre coscienze, per capire cosa possiamo fare, laddove è possibile, nelle nostre famiglie, nelle nostre aule, per evitare che fatti di questo genere accadano ancora.
Siamo colpevoli come società di aver rubato il futuro ai nostri giovani e di rubarglielo ancora, ogni giorno, quando comunichiamo sfiducia nella comunità, nella politica, nel lavoro, nelle possibili soluzioni alle crisi. Siamo colpevoli quando ci lamentiamo, quando trasmettiamo loro un’immagine fosca e viziata, viziata da noi e dalle nostre colpe, della vita. Siamo colpevoli quando non li ascoltiamo, quando non sappiamo fare un passo indietro davanti al loro disagio, alle loro piccole e grandi sofferenze quotidiane, quando non sappiamo leggere i segnali che ci mandano.
Ma siamo altrettanto colpevoli quando lasciamo perdere, quando allentiamo i vincoli perché è più facile, quando smettiamo di essere adulti per giocare con loro a fare i Peter Pan, quando deroghiamo alle regole che noi stessi scriviamo, disorientandoli e lasciandoli ad interrogarsi su che cosa sia giusto e cosa no, se sia più vera la vita o la serie tv, la vita o i social network, la vita o lo schermo…
E siamo colpevoli anche quando li difendiamo ad oltranza come genitori, come sta facendo, nell’apoteosi di un fenomeno che osserviamo anche a scuola molto spesso, il papà di Antonio. Quando li difendiamo perché i loro errori ci sembrano lo specchio dei nostri fallimenti educativi, o semplicemente perché li tolleriamo, perché pensiamo che le loro mancanze, non fare i compiti, non rispettare gli impegni, siano mancanze lievi. Quando invece tutto parte da lì. Dalle regole minime. Dalle più elementari.
Non è affare di una famiglia questo. E’ affare della società e con essa della scuola, del Paese, di tutti. Si, è affare di tutti noi. Non limitiamoci a leggerlo con la curiosità morbosa con cui di solito ci accostiamo ai fatti di cronaca nera. Leggiamoci dentro, andiamo a fondo, nel cuore di quelle persone cui non abbiamo saputo trasmettere il senso civico, il senso della legge, il rispetto, il senso dell’impegno e del dovere. Leggiamone i segni premonitori nel comportamento di quei giovani che continuano a credere che per divertirsi serva bere a più non posso, calarsi una qualche pillola, fumarsi un qualche tipo di erba. Ma anche in quello dei ragazzi che vanno controsenso in motorino e noi li guardiamo farlo senza che ci faccia una grinza, di quelli che non mettono il casco, di quelli che ci rispondono male e li lasciamo fare… Anche di quelli che sistematicamente tendono a fregarci copiando i compiti e ci fa comodo non accorgerci.
Non vogliamo altri Erika e Omar, Antonio e Martina, non vogliamo che accada più. Ma quando una cosa come questa accade, è un fallimento di tutti e dobbiamo partire da dove si può, combattere con le nostre armi bianche: l’educazione della persona prima di tutto. I saperi non hanno senso se non si innestano nell’educazione. Se una scuola cura il sapere e trascura il saper essere, fallisce. Se una scuola usa la tecnologia ma non insegna ad essere cittadini digitali, fallisce. Se una scuola parla di futuro ma ne oscura l’immagine nella visione che offre agli studenti, fallisce. Se una scuola non parla di ostacoli come qualcosa di superabile con l’impegno, fallisce. Se si dimentica che quello degli adolescenti è un cammino lungo e faticoso, non è una scuola.
Non possiamo dimenticare fra 10 giorni, quando gli echi della notizia saranno attutiti. Di sicuro la nostra città non potrà farlo.